• gorgona 02

5ª tappa Via dell'Essenza - Via dei Ginepri

  • Partenza:

    Seccheto

  • Arrivo: Marina di Campo
  • Tempo medio: 3 ore e 30 minuti
  • Lunghezza: 8,3 km
  • Difficoltà percorso: impegnativo
  • Dislivello in salita: 368 m
  • Ubicazione: Elba Occidentale
  • Sentieri percorso:

    n. 195, 193, 192, 138

  • Panoramico: ●●●○○
  • Pianeggiante: ●●●○○
  • Ombreggiato: ●●●○○
  • Punti di interesse:

    ginepri, fornace, vie del granito, estrazione granito, flysch (geosito)


La via dei Ginepri inizia nei pressi del campo sportivo di Seccheto imboccando il sentiero n. 195. Nella prima parte il percorso coincide con le “vie del granito”, una rete di sentieri che consentono di raggiungere diversi antichi manufatti in granito e siti prestorici. Si prosegue poi sui panoramici sentieri n. 193 e poi 192, caratterizzati dalla presenza di rocce fratturate tipiche dell'anello termometamorfico fino alla strada asfaltata che seguiremo per un breve tratto. Imboccata la stradina di Colle Palombaia che prosegue come un viottolo (n.138) l'itinerario si stacca dal massiccio del Capanne per inoltrarsi lungo alcuni contrafforti costituiti per lo più di strati di roccia sedimentaria. Il sentiero segue a tratti  la costa a picco sul mare, un tempo coperta da terrazzamenti coltivati, con zone di diretta esposizione lungo la scogliera, inoltrandosi a volte nella vegetazione boscosa dei versanti settentrionali. Giungeremo così a monte della spiaggia di Galenzana per scendere in prossimità del più vecchio agglomerato del paese di Marina di Campo.

Punto di interesse 5 A - La storica estrazione del Granito

La granodiorite isolana è stata oggetto di una millenaria estrazione come materiale da costruzione per le sue caratteristiche strutturali e ornamentali e definita tradizionalmente come granito dell'Elba. Essa viene descritta come pietra ornamentale caratterizzata da un mosaico di macchie bianche e grigie, di forma da irregolare a rettangolare e dimensioni da millimetriche a centimetriche tra le quali sono presenti anche macchie nere più piccole. Sulle pendici meridionali del Monte Capanne, sopra i lidi di Cavoli e Seccheto sono sparsi antichi cantieri che si estendono fino alla costa, dove a partire dall'epoca romana è stata estratta la chiara roccia ignea che veniva usata per realizzare colonne e altri manufatti: le macchie sono costellate di strutture già complete o sbozzate e poi abbandonati, a volte inspiegabilmente sui fianchi granitici nei quali erano stati estratti. Lo stesso nome Cavoli deriverebbe proprio dal latino Cavulae, alludendo alle piccole cave, presenti nella zona nell'antichità. Anche lungo la costa sono presenti i segni dell'attività estrattiva con le cave marittime situate nei pressi della baia di Seccheto e nella zona delle “Piscine” tra Fetovaia e Seccheto, dove la scogliera sarebbe stata modificata per l'estrazione della pietra realizzando delle cavità in cui il mare entra formando delle vasche apparentemente “naturali”. I Romani hanno usato il granito elbano per l'edificazione del Pantheon e in altri celebri monumenti dell'antica Roma, mentre sarebbero di reimpiego medievale le 18 romane colonne nella cattedrale di Aquisgrana. Nel medioevo il granito elbano fu impiegato nella costruzione del duomo e del battistero di Pisa e in altri monumenti religiosi nella città della repubblica marinara toscana. I Medici avrebbero ancora usato il granito elbano a Firenze nei vasconi e altre strutture ornamentali del giardino di Boboli e in vari monumenti cittadini. L'estrazione del granito è continuata fino ai giorni odierni: nei secoli scorsi la chiara pietra elbana veniva usata per la realizzazione di banchine portuali, pavimentazioni cittadine e cordoli stradali mentre oggi l'attività è andata riducendosi per quantità di pietra estratta ma raffinandosi per tipologia di prodotti realizzati quali elementi decorativi di abitazioni e ville, insieme a strutture pregiate per l'arredo urbano.

Punto di interesse 5 B - La fornace di calce dei Pini Grandi sopra Cavoli

Lungo tutta la costa elbana, ma a volte anche in località più interne, nei luoghi dove erano presenti affioramenti di rocce calcaree, sin dalle epoche antiche furono realizzate numerose fornaci per la produzione della calce. Si trattava di grandi strutture per ottenere, tramite la cottura della pietra, la calce utilizzata per le attività edilizie, per la saldatura delle pietre da costruzione e per intonacare gli edifici. La loro forma era caratterizzata da una struttura cilindrica realizzata con pietra resistente al calore, rinforzata con una camicia interna di blocchi cementati con argilla, con un'apertura superiore, o camino, per il carico della pietra calcarea e una bocca, nella parte inferiore che serviva dapprima ad inserire le tante fascine necessarie all'alimentazione del fuoco per la cottura del calcare e successivamente, alla fine del processo,  per estrarre la calce prodotta. Spesso la struttura cilindrica era incassata in un terrapieno, facilitando le operazioni di carico del calcare dall'alto e per  mantenere il calore nella fornace. La muraglia interna della costruzione era inoltre plasmata di terra refrattaria. La pietra calcarea da trasformare era disposta sapientemente in circolo all'interno della fornace, appoggiandola alla parete della struttura, fatta eccezione per quella porzione corrispondente alla bocca. Sempre con l'attento posizionamento delle pietre da cuocere si realizzava una camera di combustione con cupola interna con un'altezza di un metro e mezzo dalla base, completando il riempimento della fornace fino alla sommità. Nella camera di combustione venivano messe le fascine di legna per l'accensione per un processo di cottura che poteva durare dai 7 ai 10 giorni, fino a impiegare sei-settemila fastelli.  Il riscaldamento del forno doveva essere lento e progressivo per evitare l'annerimento della pietre e che la parte interna del calcare rimanesse crudo. Nella trasformazione si superavano i mille gradi di temperatura e quando finalmente dall'alto apparivano fiammelle azzurre significava che la pietra aveva raggiunto la sua cottura. La calce viva così prodotta era estratta sotto forma di polvere o ancora con la sua struttura solida, seppur fortemente degradata chimicamente, per essere trasportata e successivamente “spenta” con l'acqua sui cantieri di impiego.

Punto di interesse 5 C - Il ginepro fenicio (Juniperus phonicea) e altri ginepri presenti all'Elba

E' un piccolo albero sempreverde: in condizioni ottimali può crescere fino ed oltre 8 metri, ma nelle impegnative situazioni dei substrati rocciosi costieri, con condizioni di aridità e di diretta esposizione ai venti, la pianta rimane delle dimensioni di un arbusto di portamento medio-grande e allargato, se non addirittura con forme da bonsai. Presenta una corteccia che si sfalda a nastri lasciando intravedere il sottostante strato rossastro. Le foglie sono molto piccole, squamiformi e appressate ai rametti e di colore verde intenso: non sono pungenti, caratteristica che le distingue da quelle di altri ginepri. Particolare è la struttura aciculare del fogliame dei giovani esemplari, che però muta con lo svilupparsi delle piantine.  I fiori sono piccole spighe pendule portate in amenti sui giovani rami. I frutti, a maturazione biennale,  non commestibili, sono detti galbuli, simili a delle bacche, di consistenza legnosa e tondeggianti, del diametro di circa un centimetro, che assumono un colore bruno rossastro a maturazione. E' elemento dominante di macchie tipiche delle aree marittime, zone talvolta aspre e rocciose; è specie eliofila che di solito all'Elba incontriamo in buone esposizioni meridionali o occidentali, preferendo terreni calcarei. All'Elba è presente anche il ginepro coccolone (Juniperus oxycedrus macrocarpa), arbusto o alberello alto fino a 5 metri, ma che spesso incontriamo con minori dimensioni, sopratutto nelle situazioni rupestri dove può assumere portamenti da bonsai. Il suo fusto è eretto, però lungo le coste può risultare inclinato dai venti dominanti. La sua corteccia è grigio rossastra. Presenta rametti bruno-rossastri con foglie appuntite di un verde glauco. I fiori sono poco appariscenti, mentre sono ben evidenti i frutti, i galbuli o coccole, strutture simili a bacche, inizialmente verdi chiare e poi brunastro - opache con diametro di 12 -15 mm. E' specie caratteristica della macchia mediterranea colonizzando terreni difficili quali le dune costiere, le coste e le pareti rocciose.

Punto di interesse 5 D - Il Flysch

In questo tratto il nostro sentiero incontra una formazione geologica di origine sedimentaria denominata Flysch cretaceo costituita fondamentalmente da strati di calcari marnosi e marne grigio scure con livelli di arenarie e di conglomerati. La parola Flysch ha origine nella Svizzera tedesca e significa pendio scivoloso o terreno che scivola, indicando la serie di strutture geologiche formatesi soprattutto nel periodo cretaceo superiore (65 – 100 maf) nelle zone pelagiche dell'antico mare della Tetide in seguito ad imponenti frane sottomarine lungo la scarpata continentale. Nel precipitare e depositarsi sul fondo del bacino oceanico erano i sedimenti più pesanti e grossolani a fermarsi per primi sul fondale, formando i livelli di conglomerati e arenarie, mentre i sedimenti più fini come le argille finivano per depositarsi per ultimi creando gli odierni strati marnosi. Gli eventi franosi si sono succeduti più volte in seguito agli importanti movimenti della tettonica compressiva avvenuti di quel periodo geologico nella Tetide. Si sono formate così le calcareniti torbiditiche, o Flysch cretaceo, riscontrabili nell’Elba centro - occidentale, da Buraccio alla costa settentrionale e meridionale isolana: nelle zone da Enfola e Punta della Guardiola, vicino a Procchio, a Nord, dal Golfo di Lacona al Golfo di Campo, fino a Galenzana, Capo Poro e nell'area che appunto stiamo attraversando a Sud. Tra queste formazioni troviamo le arenarie di Ghiaieto con i più significativi affioramenti presenti a ridosso della spiaggia sul lato occidentale del Golfo di Lacona dove sono presenti anche livelli di conglomerati. Nelle zone citate si alternano fondamentalmente livelli di arenaria data dalla litificazione di antichi depositi sabbiosi accumulatisi in quei profondi ambienti marini e livelli di marna e calcari marnosi. La marna è una roccia sedimentaria dalla granulometria fine, composta da un insieme di calcite e minerali argillosi circa in parti uguali e può contenere tracce di quarzo, miche e residui carboniosi. Se la percentuale carbonatica supera i due terzi della composizione totale abbiamo i cosiddetti calcari marnosi. La formazione è ampiamente interessata da estese intrusioni di filoni e laccoliti originatisi alla nascita del plutone magmatico del Capanne.

 

Punto di interesse 5 E - Il piano d’azione per la tutela dell’habitat “Matorral arborescenti di Juniperus phoenicea”  nell’isola di Pianosa – Il Progetto LIFE Natura

L'Ente Parco Nazionale Arcipelago Toscano è intervenuto per la salvaguardia del ginepro e dell'Habitat ad esso collegato limitando lo sviluppo dell''ailanto ma soprattutto del pino d'Aleppo, piante alloctone in competizione con questa importante specie, con un progetto LIFE che ha avuto luogo sull'Isola di Pianosa. L’habitat “Boscaglie costiere a dominanza di Juniperus phoenicia ssp. turbinata” (Cod. Natura 2000: 5212 “Matorral arborescenti di Juniperus phoenicea”) costituisce una delle emergenze vegetazionali dell’Arcipelago Toscano. Il ginepro fenicio è presente in Italia solo in aree costiere , sia in aree sabbiose, dove entra a far parte della tipica flora arbustiva di colonizzazione delle dune assieme a Juniperus macrocarpa, sia su roccia, di natura preferibilmente calcarea. Si tratta di una specie eliofila e termoxerica, molto resistente all’aerosol marino ed estremamente longeva che può stabilizzarsi in un sito idoneo rimanendo anche dopo che la vegetazione viene distrutta e quindi partecipando a vari tipi di formazioni legate fra loro dinamicamente. In Toscana la specie è presente, con formazioni significative, solo a sud di Rosignano. Tra quelle presenti su coste rocciose, le più rilevanti risultano essere localizzate nelle seguenti aree: promontorio di Piombino, Isola d’Elba, Isola di Pianosa, Parco della Maremma, Monte Argentario, Isola del Giglio e Isola di Giannutri.  Le formazioni più estese e meglio conservate sono presenti a Pianosa e secondariamente a Giannutri.  Nell’isola di Pianosa l’habitat dei ginepreti costieri risultava minacciato dalla progressiva espansione del pino d’Aleppo (Pinus halepensis) a partire da nuclei di origine artificiale di questa specie. Uno degli principali obiettivi del progetto LIFE-Natura è stato pertanto quello di salvaguardare i ginepreti costieri da questa minaccia, favorendo anche una ulteriore espansione, contenendo e limitando il pino d'aleppo lungo alcune fasce litoranee della più piatta isola d'Arcipelago Toscano.

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