La nascita dell’Arcipelago Toscano
Le isole dell’Arcipelago toscano sono costituite da vari tipi di rocce: magmatiche, sia intrusive (graniti, porfidi granitici e filoni aplitici) che effusive (basalti e rioliti), sedimentarie (calcari, arenarie ecc.), metamorfiche (filladi, gneiss, marmi ecc.) oltre ai famosi ammassi di minerali ferriferi della zona orientale dell’isola d’Elba. Queste rocce mostrano aspetti particolari che le ricollegano alle loro svariate e lontane zone di origine, dandoci la prova tangibile dei movimenti ed accavallamenti che hanno permesso la nascita dell’Arcipelago toscano. Possiamo far coincidere l’inizio della storia dell’Arcipelago con quel periodo geologico che prende il nome di Triassico (230 – 240 milioni di anni fa), anche se in realtà le rocce metamorfiche che costituiscono la penisola del Calamita, all’isola d’Elba, sono un frammento di continente africano datato circa 570 milioni di anni. In seguito a movimenti divergenti, interni al globo terrestre, la litosfera subì un progressivo assottigliamento fino a giungere alla rottura, che definì la formazione di due grosse placche: la proto-europea e la proto-africana con al centro un mare: la Tetide, lontano antenato del Mediterraneo.
La complessa interazione tra queste due masse, con l’alternarsi di moti divergenti e convergenti, portò alla nascita, prima, delle Alpi e, poi, dell’Appennino settentrionale al quale è strettamente legata la nascita delle isole dell’Arcipelago toscano. Negli ultimi 10 milioni di anni, contemporaneamente ad un periodo di eventi distensivi, ad una profondità indicativa di circa 20 – 30 Km, si verificarono dei fenomeni di fusione di alcune rocce ed i magmi, da esse derivati, risalirono verso la superficie. Questi magmi, fuoriuscendo, portarono ad una serie di eruzioni vulcaniche che formarono la struttura basale dell’isola di Capraia (tra 9 e 4,5 milioni di anni fa). In altri casi, i magmi restarono intrappolati ad una certa profondità all’interno della crosta terrestre, dove raffreddandosi lentamente, originarono i corpi granitici che affiorano attualmente: comprensorio del Monte Capanne (Elba), isola di Montecristo ed isola del Giglio. In associazione a questi eventi magmatici, si svilupparono notevoli fenomeni metamorfici che interessarono formazioni rocciose preesistenti e portarono alla configurazione attuale dell’isola di Gorgona.
L’isola di Giannutri, formata da sedimenti calcareo-dolomitici, è molto simile alle montagne della vicina catena appenninica. Durante il Quaternario (da circa 1.5 milioni di anni fa ad oggi), tutto l’Arcipelago fu interessato da fenomeni di regressione e trasgressione marina associati essenzialmente alle oscillazioni del livello marino dovute ai periodi glaciali e interglaciali. In particolare nel Pliocene superiore il mare toscano regredì marcatamente ed affiorò, l’ultima delle isole dell’Arcipelago, Pianosa; una piattaforma priva di rilievi, costituita da rocce sedimentarie e da accumuli conchiliferi. Nel Pleistocene superiore (circa 125.000 anni fa), durante la cosiddetta trasgressione Tirreniana, il mare arrivò fino a 15 metri sopra il livello attuale e l’Arcipelago si arricchì delle isole di Piombino, dell’Argentario e del Calamita, che si staccò dalle restanti zone dell’isola d'Elba. Durante la glaciazione Wurmiana (circa 75.000 – 11.000 anni fa), il livello del mare scese fino a 100 metri sotto il livello attuale e l’Elba, unita al continente, divenne una penisola protesa verso la Corsica con due promontori: uno, verso sud, che la univa con Pianosa e l’Africhella; l’altro, a nord, che si allungava fino a poche miglia da Capraia. Nell’Arcipelago, rimasero come isole Capraia, Giglio, Giannutri, Gorgona e Montecristo. Dopo il culmine wurmiano il mare tornò lentamente a risalire, fino a raggiungere il livello attuale, restituendo al mare e all’Arcipelago toscano le sue sette isole.
Monte Capanne: filoni aplitici
Il Monte Capanne (isola d’Elba), completamente granodioritico, rappresenta la più grande massa intrusiva affiorante della Provincia Magmatica Toscana. Dai dati geochimici si ipotizza che questa massa sia stata originata da un magma derivato dalla fusione parziale di sedimenti argillosi metamorfosati. Intorno a questa massa granitica si distribuirono i filoni aplitici, porzioni di magma incandescente che, infilandosi nelle spaccature delle rocce preesistenti (granodiorite), si raffreddarono velocemente. Durante questo processo si formarono nuovi cristalli, tipicamente zonati, quali la tormalina, il berillo, e i granati. I cristalli più belli si formarono nei nuclei quarzosi al centro dei filoni.
La tormalina, se presente, è un indicatore del grado di evoluzione di questi. Tale minerale, potendo cambiare di composizione durante la crescita, registra il mutare delle condizioni chimiche dell’ambiente in cui si forma; tale mutamento si traduce in un cambiamento di colore dei cristalli, che con grado di evoluzione via via maggiore passano dal nero, al verde, al giallo, al rosa ed al rosso. I filoni possono avere forme regolari e irregolari ed hanno spessori che da qualche millimetro raggiungono circa 2 metri e lunghezze che possono arrivare a 15-20 metri. I filoni aplitici sono ben individuabili lungo il perimetro del comprensorio del Monte Capanne e si riconoscono come strati più chiari all’interno di ammassi rocciosi di colorazione più scura. Le cristallizzazioni di minerali più belle si trovano soprattutto lungo il margine orientale, nelle località di S. Piero e S. Ilario. Molti degli spettacolari cristalli di tormalina presenti nei musei di tutto il mondo provengono sicuramente dai filoni aplitici elbani.